Sotto la coltre di una notte greve e pungente,
lunga e insidiosa
quanto l’inquietudine
che lastrica i sentieri
battuti dai palpiti scomposti del mio cuore,
occultata nelle spire del fallace oblio,
diramo.
E al viscoso tronco d’umido muschio asperso
m’avvinghio
e ai rami m’aggrappo
di quel germoglio che dall’anima palpitante
verso l’infinito protende.
Raspando
risalgo rami tortuosi
pregni di gemme frammiste a dolori:
eoni di giorni e di notti frammisti a sogni,
delusioni e rimpianti.
Gemiti e dolore ancora mi strappano
e scavano lancinanti ferite.
Indifferente, le ignoro
perché più non soffre un cuore esangue impietrito.
Ambigua e rapace
sopra di me la notte
m’alletta.
Stremata,
alla sua soporifera vacuità
ancora resisto.
Strisciante
Lì dove i rami sottili
ancor più s’assottigliano
fino a sfiorare con le gemme nascenti
il bagliore accogliente
della luna primeva.
E lì solo, come gemma nascente,
sfumo appagata
nel mio rifiorire.
"Sotto la coltre "
Mary Grace Ovedi
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